Questo scritto sarebbe dovuto apparire originariamente (o forse lo farà) in un documento redatto dal collettivo bolognese exarchia. In seguito al differenziarsi dei percorsi, viene qui riproposto come breve, introduttiva, analisi del tempo corrente che Perifrourisi fa propria.
Importanti, in particolare, sono gli spunti ripresi da scritti di compagn@ sloveni e greci, quali “estremo centro”, “totalitarismo parlamentare” o “cannibalismo sociale”, che trasmettono con immediatezza i problemi politici dell’oggi.
Il contesto in cui si agisce è per noi la base da cui si decidono il come, cosa, quando e dove agire politicamente. Infatti senza un’analisi che sia realistica e radicale, si è destinati a replicare i propri programmi senza nessun risultato, mentre avendo coscienza del terreno di scontro si possono pensare strategie e tattiche vincenti.
Come collettivo siamo composti da persone che vivono la precarietà non solo come un passaggio lavorativo, ma come un vero e proprio assioma rispetto a tutto, dalla situazione economica ai propri luoghi di socialità fino alle più basilari libertà individuali.
Infatti, se già siamo cresciuti sulla china del benessere e delle garanzie delle generazioni precedenti, dando già per “ovvie” situazioni di sfruttamento e di insicurezza diffusa, abbiamo visto come nessun peggioramento fosse l’ultimo, o impensabile.
Bologna è stata paradigmatica: da città “aperta” e “rossa” fino allo stereotipo, negli ultimi due anni ha vissuto un’involuzione autoritaria drammatica, con la chiusura violenta di moltissimi luoghi politici, di cultura alternativa o anche solo spazi pubblici. Infatti, oltre agli sgomberi di centri sociali, squat e occupazioni abitative (corredate dal totale menefreghismo verso gli abitanti), sono stati chiusi locali non “decorosi”, le strade sono state vietate a suon di ordinanze e la polizia sta prendendo sempre più confidenza verso una totale impunità delle proprie prepotenze.
Mentre il governo del territorio è affidato alle questure e ai tribunali, le condizioni lavorative e abitative dei non-privilegiati vanno degradandosi sempre di più, quasi dileggiati dalle sfarzose cerimonie che i politici locali fanno per celebrare speculazioni edilizie e tagli dei servizi (sotto il nome di privatizzazioni).
Ogni interpretazione politica viene bandito: nell’arco del potere statale, vige ormai un’oligarchia burocratica indistinta, un “estremo centro” che caratterizza la nuova fase di totalitarismo parlamentare che ha come obbiettivo la riscrittura genetica della società, divisa nuovamente in una brutale frattura fra privilegiati e non-garantiti; insomma, nuovamente fra borghesia e proletariato, non cilindri contro tute blu, ma “App” (quali quelle di Deliveroo, Airbnb, etc) contro precari.
Bologna ha subito un così forte livello repressivo per via del suo “Movimento”, uno dei più forti a livello nazionale, che però si è rivelato per molti versi una tigre di carta.
Il suo essere legato, negli ultimi tempi, quasi in modo dipendente al mondo universitario l’ha reso fragile difronte alle mutate condizioni sociali: la stessa Università, che a lungo è stata un ambiente protetto rispetto alle forze statali, è ormai pienamente integrata nell’Idra rappresentato da Cooperative, Questura e Partito Democratico, perseguendone le stesse pratiche autoritarie (sospensioni politiche di attivisti) e capitaliste (tagli al welfare studentesco, nuovo Isee).
Per contro, i nodi del conflitto sociale quali i quartieri popolari, le lotte lavorative, gli ambienti sportivi e molto altro sono rimasti (tranne alcune ammirevoli eccezioni) pressoché scoperte, e in questo vuoto si stanno infiltrando astutamente i fascisti, perseguendo strategie di rafforzamento e radicamento simili a quelle ad ora attive su tutto il territorio nazionale e non solo.
Di per sé, la contrapposizione fra abitanti stanziali e studenti, fra città e università, è un conflitto artificiale che però è alla base di molte meccaniche del potere cittadino: i “centri sociali” estranei al tessuto dei quartieri, il “degrado” contro il “decoro” e così via.
E’ però vero che persiste da troppo tempo un’incomunicabilità fra queste due composizioni sociali che va superata, tanto quanto quella fra lotte studentesche e lavorative, delle case popolari e degli studentati; si tratta di far “esplodere” la zona universitaria, trasformandola da ghetto del divertimento a nodo vitale del tessuto urbano, e di riportare le questioni cittadine in università, politicizzando gli studenti verso i quartieri che abitano e gli abitanti che hanno affianco.
Le dinamiche che Bologna sta affrontando sono lo specchio di una china che sta toccando, con magnitudine diversa, non solo tutta l’Italia, ma tutto il mondo: la campagna spietata che il capitalismo neo-liberista sta portando avanti per cancellare le conquiste sociali e lo spostamento a destra del dibattito politico sulla base delle strategie fasciste vanno dall’elezione di Trump al predominio di Erdogan in Turchia, ai rigurgiti nazionalisti in Giappone.
Ben lontani da qualsiasi vittimismo, facciamo nostre le parole dell’anarchismo greco: “Resistere. Organizzare. Contrattaccare.”.
Proprio in Grecia, l’anarchismo di lingua greca (che sentiamo come il più vicino a noi) ci insegna che modelli rivoluzionari contemporanei e vincenti, sociali e militanti, sono praticabili.
La resistenza all’Austerity, la costruizione di alternative di massa nei quartieri di Atene, lo sradicamento di Alba Dorata, sono esempi vittoriosi che siamo determinati a replicare, sull’ondata del nuovo movimento Antifa che dagli Stati Uniti pianta i piedi e si rifiuta di cedere.
Se il barometro segna tempesta difronte ai tempi scuri in cui siamo entrati, affermiamo che “[…] la storia non su compone di sole vittime e di soli carnefici, ma anche di ideali, valori, progetti per i quali gli individui hanno combattuto. […] anche nella situazione più difficile, scegliere di agire è possibile. Sempre.”